di Andrea Bonzi
"...PORNOFONO!". Così, con questo termine figlio del pungente e polemico sarcasmo che gli era proprio, uno studioso del calibro di Oscar Mischiati definiva gli strumenti elettronici contrapponendoli all'organo a canne. E, come ogni espressione che si fermi - con metodo quasi giornalistico - all'immediatezza di una immagine fortemente evocativa e di sicuro impatto emotivo, il termine è ormai "sedimentato" divenendo un qualcosa che somiglia a quello che i vecchi illuministi del Settecento (alla Voltaire) definivano "ipse dixit".
Così, per una sorta di "inerzia" concettuale, proprio nei primissimi giorni del 2021 ha suscitato reazioni discordanti - talora con espressioni di veemente indignazione - l'uso di un sistema Hauptwerk nell'esecuzione del prestigioso Concerto di Capodanno del teatro La Fenice di Venezia: prendiamo spunto da questo episodio per esprimere alcune considerazioni su questo spinoso (in Italia...) argomento.
Crediamo che qualsiasi organista con un minimo di esperienza abbia avuto a che fare, prima o poi, con quello che viene genericamente detto "organo elettronico": solitamente considerato una sorta di male necessario per lo studio casalingo e malsopportato nell'uso ecclesiastico. Prima di procedere oltre ci concediamo una breve digressione per tentare di prendere le distanze da tutto quel bagaglio di "già saputo" tanto inevitabile quanto deleterio se diventa preconcetto. Un preconcetto che preclude l'apertura mentale nei confronti di una realtà che può rivelarsi anche molto diversa da quello che si crede di sapere.
Facciamo quindi un passo indietro e prendiamo la questione più alla larga.
La storia della musica elettronica e relativi strumenti, nonostante abbracci solo poco più di un secolo, è già piuttosto vasta e non è questa la sede per ripercorrerla in dettaglio. Fermiamo però almeno un dato di fatto: tanto nella musica leggera che in quella "colta" il Novecento non ha mai disdegnato l'applicazione di elettricità, elettronica ed informatica alla musica - in funzione di strumenti e sonorità "originali", che però nascevano giocoforza, poco o tanto, dall'emulazione di quelli tradizionali almeno come punto di partenza. Uno degli esempi più illustri e certamente il più vicino a ciò di cui stiamo parlando qui è l'organo Hammond: nato guardando al "cugino" a canne si è ben presto evoluto in uno strumento originale con una sua tecnica, una sua estetica e propri generi musicali.
Il principio su cui si basa l'Hammond è quello di modellare - con una tecnica additiva puramente elettromeccanica - il contenuto armonico di un suono statico: da qui il riferimento, più o meno deliberato (e anzi talora fieramente negato), all'organo a canne e al suo suono fisso, ai suoi registri con timbri diversi e alla possibilità di sintetizzare, mediante le mutazioni, suoni complessi con vario contenuto armonico. Il passaggio dall'elettromeccanica all'elettronica e, successivamente, l'avvento delle primordiali tecniche di campionatura dei suoni resero più ovvia la somiglianza tra le due categorie di strumenti: finché si arrivò, di fatto, a metterli sullo stesso piano proponendo modelli di organi elettronici dotati di "consolle" sempre più simili a quelle di un organo a canne a trasmissione elettrica, con disposizioni foniche che ricalcano analogamente quelle dei tradizionali registri organistici.
Sarebbe interessante indagare le motivazioni di ordine culturale, tecnico e non da ultimo commerciale che hanno portato a quella che col tempo è stata concepita sempre più come "alternativa a buon mercato" al costoso ed impegnativo organo a canne: indagine, anche questa, estremamente vasta ed articolata su cui qui non ci soffermiamo. Ancora una volta, però, teniamo a mente un altro dato di fatto che sembra essere una buona chiave di lettura: "alternativa a buon mercato", cioè un criterio che antepone a considerazioni di ordine qualitativo altre motivazioni - pratiche od economiche - "accontentandosi" di quello che ormai viene concepito come un surrogato dello strumento tradizionale.
Notiamo, en passant, che questo discorso si può ripetere identico anche per l'armonium - strumento originalissimo, che ha raggiunto nel XIX secolo alti livelli di tecnica costruttiva e di repertorio musicale, che condivide con l'organo a canne l'uso dell'aria compressa e di registri con differenti sonorità e che pure è spesso trattato come "surrogato": a dimostrazione del fatto che il problema non dipende dalla tecnologia in sè ma dal criterio con cui viene usata (o giudicata).
Questo criterio di "alternativa a buon mercato" è, in breve, quello che sta alla base dell'equivoco della pretesa concorrenza tra organo elettronico ed organo a canne: laddove il primo, concepito come "soluzione facile" per la sostituzione del secondo, è dotato - come vedremo tra breve - di tecnologia (e conseguentemente risultati estetici che da questa direttamente dipendono) largamente insufficiente non tanto per provare a competere con il secondo, ma anche solo per dare risultati musicalmente utilizzabili.
Stando così le cose - ed avendo bene in mente il suono impersonale, amorfo ed inconsistente proprio anche dei migliori organi campionati - il termine "pornofono" è più che giustificato se si pretende che questo tipo di strumenti possa sostituire l'organo a canne.
Riassumendo sinteticamente possiamo mettere in evidenza due ordini di problemi: l'equivoco sulla natura di strumenti tecnicamente diversi e l'inadeguatezza delle risorse dell'organo elettronico (su questo punto si trova un interessante contributo di Fabio Mancini che invitiamo a leggere), che lo rendono di un livello troppo basso per aspirare ad essere strumento musicale tout-court senza scomodare l'imitazione dell'organo a canne.
Stabilita la differenza di natura tra i due strumenti, il passo successivo è domandarsi se e come portare il livello tecnico dell'elettronico ad una qualità accettabile per uno strumento musicale, liberandosi da tutti i compromessi propri della concezione di "alternativa a buon mercato" per ricercare il massimo livello qualitativo - come dovrebbe essere, del resto, nella progettazione, costruzione ed uso di qualsiasi strumento musicale.
Vediamo perchè il normale organo campionato suona come un "pornofono".
1) La parte relativa alla generazione del suono, per quanto oggetto di costante evoluzione, è ancora ben lontana dall'aver raggiunto standard degni di uno strumento musicale. Lo "scoglio" maggiore è rappresentato dalle scarse prestazioni dell'hardware integrato, nemmeno lontanamente paragonabile a quelle di un personal computer anche di fascia bassa (parliamo di ordini di grandezza di differenza). Né è pensabile che un produttore industriale di strumenti elettronici "tutto compreso" possa permettersi di rimanere al passo dell'esponenziale evoluzione informatica a cui continuamente assistiamo: gli stessi tempi di produzione di un dato modello rendono la cosa pressochè impossibile.
Così i campioni sono sempre molto brevi (con loop costituiti da pochi o addirittura un solo ciclo) ed ognuno di essi viene "spalmato" su più note per ridurne drasticamente il numero; sono inoltre pesantemente limitati nella risoluzione in frequenza e nella profondità in bit. Anche il numero di suoni contemporaneamente eseguibili (polifonia) è enormemente più limitato di quello proprio di un reale strumento a canne. Pensiamo ad un accordo di 4-6 note con un Tutti di 30-40 registri: siamo nell'ordine delle centinaia di suoni contemporaneamente emessi (senza contare le interazioni reciproche, la cui modellazione è semplicemente inarrivabile), a fronte di risorse che limitano l'elettronico ad un massimo di poche decine. Questo ha ovvie ripercussioni sulla resa timbrica e dinamica: più l'organista richiede suono, più il risultato sarà inconsistente ed amorfo.
2) La parte di amplificazione e diffusione sonora - onde evitare costi spropositati che andrebbero ad aggiungersi a quelli di una consolle fatta e finita - si colloca nella migliore delle ipotesi a livello di un buon impianto audio casalingo e come tale va utilizzata - il che esclude l'uso in ambienti vasti come una chiesa, una sala da concerto o un teatro.
Anche in questo caso possiamo basarci su un confronto con lo strumento acustico per farci un'idea approssimativa della disparità delle risorse messe in campo. Il "generatore" sonoro di un organo a canne è costituito, appunto, dall'insieme delle canne stesse: la cui lunghezza è inversamente proporzionale alla frequenza emessa e le cui sezioni sono in funzione delle caratteristiche di timbro ed ampiezza del suono. E' facile rendersi conto, anche solo qualitativamente, della potenza necessaria per uguagliare la pressione sonora di un grande organo a tre manuali e 50 registri senza apprezzabili distorsioni e con una risposta in frequenza comparabile. Un calcolo empirico ma indicativo della superficie radiante (area complessiva) delle canne coinvolte in un accordo di Do maggiore con Principale 8' e Ottava 4' alla tastiera e Principale 16' al pedale dà un valore di circa 835 cm quadrati, comparabile alla superficie complessiva di circa 950 cm quadrati di un subwoofer da 10" e due satelliti con mid da 4" e tweeter da 1". L'aggiunta di una sola nota di Subbasso 16' aumenta la superficie complessiva delle canne a circa 1200 cm quadrati: l'aggiunta di un Do1 di Principale 32' la porta a quasi 2500, praticamente raddoppiandola. E' facile immaginare l'incremento dovuto all'uso di molti registri di 8' o 16', anche con disposizioni foniche corrispondenti ad organi di medie dimensioni: ed è facile immaginare che occorra la potenza di diversi diffusori - idonei per caratteristiche e posizionamento - per tentare anche solo di avvicinarsi alla potenza acustica dello strumento a canne, specie nelle frequenze al di sotto dei 60 Hz.
Una piattaforma come Hauptwerk (o simili) permette, appoggiandosi a personal computer e a software dedicato - senza dover dipendere dalle limitate risorse hardware dei modelli commerciali di organi elettronici - di superarne di slancio i limiti su diversi fronti:
1) i campionamenti sono ad alta o altissima fedeltà, fino a 48kHz e 24 bit, con la disponibilità di campioni multipli e dalla lunghezza adeguata (mediamente 10-15 secondi od oltre) per ogni singola nota
2) il software dedicato (Hauptwerk, GrandOrgue o simili) ne consente la completa gestione sia in termini di qualità del singolo campione (mantenendone il formato originario di registrazione) che, soprattutto, di ampiezza della polifonia: disponendo di computer anche solo di media potenza è tranquillamente possibile far "suonare" contemporaneamente anche migliaia di campioni, eguagliando di fatto il numero di suoni emessi dallo strumento acustico
3) non ultimo, una piattaforma come Hauptwerk permette il caricamento a scelta di un numero virtualmente illimitato di sample set, ognuno dei quali può essere di volta in volta la precisa replica di un particolare strumento - comprensiva di interfaccia fotografica che riproduce ogni singolo comando - oppure una personalizzazione ad hoc, eseguita con campioni "dry" adatti ad essere inseriti in ambienti risonanti.
Per quanto riguarda la sonorizzazione di ambienti vasti il criterio è tanto semplice in teoria quanto complesso e dispendioso nell'applicazione pratica: occorre installare un sistema in grado di riproporre la stessa potenza di suono dello strumento acustico, senza distorsioni, nell'intero, amplissimo spettro di frequenze (dai 16 ai 16000 Hz). Questo sistema deve essere in grado di riprodurre anche la distribuzione stereofonica del fronte sonoro dello strumento acustico.
Trattandosi poi di suoni che andranno diffusi in un ambiente riverberante occorre anche fare grande attenzione al tipo di campioni utilizzati: è intuitivo che debbano essere assolutamente privi di qualsiasi traccia di una loro propria acustica ambientale, che andrebbe inesorabilmente a sovrapporsi e confondersi con quella propria dell'ambiente di riproduzione con tutte le conseguenze del caso quanto a chiarezza e definizione del suono - questo a prescindere dalla qualità dell'impianto di diffusione utilizzato. Né è sufficiente, come molti credono, tagliare le code di riverbero dei campioni (opzione possibile in Hauptwerk e GrandOrgue): la risposta acustica è ben presente anche nel suono a regime, arricchendolo e colorandolo, e il taglio dell'ultima porzione del suono non fa altro che renderne ancor più innaturale la resa nell'ambiente di riproduzione.
Se si intende "far suonare" dei campioni in un ambiente reale è strettamente necessario che tali campioni siano concepiti espressamente per questo scopo, fin dall'inizio di tutta la catena che comprende la ripresa, l'elaborazione audio, la produzione del set, per terminare con una adeguata calibrazione nell'ambiente di riproduzione.
Una concezione del genere è evidentemente qualcosa di lontanissimo da quella "alternativa a buon mercato" stigmatizzata - non senza ragione - dalla maggior parte degli organisti: ed è garanzia di un livello qualitativo minimo per poter parlare di qualcosa di adatto a fare musica. Va accantonata, speriamo definitivamente, l'idea della "concorrenza" con lo strumento acustico: stiamo parlando di un altro strumento musicale, reso assai somigliante al primo ma di cui è ineliminabile l'alterità. Possiamo a questo punto spingerci ad ipotizzare la coesistenza dei due strumenti piuttosto che l'esclusione reciproca: a patto però che ambedue siano di livello qualitativo almeno confrontabile. Daremo conto presto su queste pagine di una realizzazione molto particolare, studiata con i criteri che abbiamo cercato di esporre e che si è rivelata assai convincente anche per concertisti piuttosto esigenti.
Torniamo al fatto che ci ha mosso a scrivere questo articolo: l'uso di Hauptwerk in un teatro prestigioso e in un'occasione prestigiosa, e proviamo a leggerlo alla luce di tutte le considerazioni fin qui esposte. Domandandoci, in particolare, se è stato fatto tutto il possibile per raggiungere il livello qualitativo che il prestigio della circostanza richiedeva.
Da quel poco che si può capire è stato usato un sample set gratuito, precisamente l'Eisenbarth della chiesa di Friesach, prodotto da Piotr Grabowski e giudicato tra i migliori non a pagamento; nulla, per il momento, sappiamo sul sistema di amplificazione e relativa calibrazione - elementi di importanza cruciale, come si è detto, almeno quanto la qualità dei campioni utilizzati se si vuole ottenere qualcosa che non solo possa funzionare dal punto di vista musicale ma che possa anche essere affiancato in modo credibile ad altri strumenti acustici.
Con questi dati minimali è già possibile tirare qualche conclusione qualitativa, almeno riguardo al sample set utilizzato. Il Friesach è un sample set di tipo "wet": in cui l'intero strumento è stato ripreso includendo l'acustica ambientale.
Non abbiamo ascoltato il concerto e quindi non possiamo dare giudizi; tuttavia è più che lecito, anche solo per la caratteristica "wet" del sample set, il dubbio sulla resa riguardo alla chiarezza di fraseggio ed articolazione, per quanto possa essere stato eccellente l'impianto di diffusione e per quanto buona sia l'acustica del teatro. Possiamo certamente dire che sarebbe stato meglio scegliere un sample set rigorosamente "dry", magari progettato "ad hoc", a cui si sarebbe dovuta applicare un'opportuna calibrazione rispetto alla risposta acustica dell'ambiente.
Tornando al nostro "pornofono" sono due le domande che dobbiamo porci.
Lo strumento elettronico è sempre e comunque "pornofono", o non può darsi che, come per lo strumento a canne, possano farsi considerazioni analoghe sul livello progettuale, esecutivo e di resa sonora che permettano risultati di alto standard qualitativo?
E, nel caso, ha ancora senso contrapporre lo strumento elettronico e quello a canne? Ha senso che l'elettronico sia trattato solo come "brutta copia" del più nobile organo a canne (e non possiamo non notare come, secondo la stessa logica, l'organo ceciliano sia stato trattato come "brutta copia" dello strumento classico; l'organo a trasmissione elettrica come "brutta copia" di quello a trasmissione meccanica; l'organo romantico mitteleuropeo come "brutta copia" di un certo ideale di organo barocco...), o non va forse trattato come strumento autonomo?
Lasciamo volutamente aperte queste domande, ponendole alla fine di questa lunga riflessione: lasciamo all'apertura e alla maturità culturale dei lettori il compito di trarre le loro conclusioni.